Omessa dichiarazione: per il superamento della soglia di punibilità valgono anche i proventi illeciti
Si segnala ai lettori del blog la sentenza numero 23079.2022 – depositata il 13.06.2022, resa dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione che si è pronunciata sul tema del calcolo della natura – lecita ed illecita – dei redditi non dichiarati rilevanti ai fini del calcolo della soglia di punibilità del reato tributario di omessa dichiarazione.
La Suprema Corte, facendo applicazione al caso di specie di un principio di diritto elaborato per il reato di dichiarazione infedele, ha statuito che il reato sussiste anche – e soprattutto – qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, salvo il caso della confisca e del sequestro della medesima utilità patrimoniale nel medesimo anno fiscale.
L’imputazione ed il doppio grado di merito.
La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Monza con la quale l’imputato era stato condannato in relazione al reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n 74 del 2000 perché, in qualità di legale rappresentante di uno studio professionale associato, al fine di evadere le imposte sui redditi, non presentava, pur essendovi obbligato, la dichiarazione per l’anno 2012, con conseguente IRPEF evasa pari ad euro € 344.162,69.
Il ricorso per cassazione, il giudizio di legittimità ed il principio di diritto.
La difesa del condannato interponeva ricorso per cassazione contro la decisione della Corte territoriale milanese, sostenendo che alcune somme ricevute da clienti, considerate dai giudici di merito come facenti parte della base imponibile, non potevano essere considerate profitto del reato tributario, perché oggetto di obbligo di restituzione e di risarcimento da parte dello stesso professiomnista, tale da escluderne la natura di addizione patrimoniale in favore dell’imputato
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla trama argomentativa della pronuncia in commento di interesse per la presente nota:
“Ed invero, a tale ultimo proposito, occorre richiamare – parametrandolo al caso di specie – il principio di diritto secondo cui il reato di dichiarazione infedele dei redditi ai fini IRPEF di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 sussiste anche qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, salvo che i relativi proventi siano stati assoggettati a sequestro o confisca penale nello stesso periodo di imposta in cui si è verificato il presupposto impositivo, dal momento che solo in tale ipotesi i provvedimenti ablatori determinano, in relazione al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., una riduzione del reddito imponibile (Sez. 3, n. 18575 del 14/02/2020, Rv. 279500).
Ebbene, ritiene il Collegio che tale principio sia estensibile ed applicabile, altresì, all’ipotesi di omessa dichiarazione ex art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000; di talché qualora risultino accertati redditi di natura diversa – e a fortiori qualora si tratti di redditi di derivazione illecita, come nel caso in esame – a meno che non siano assoggettati a provvedimenti ablatori contestuali, essi dovranno essere dichiarati dal contribuente, costituendo conseguentemente base imponibile soggetta agli adempimenti fiscali stabiliti dalla legge.
Tanto premesso in termini generali, nel caso di specie, non essendo stati disposti né la confisca né il sequestro di tali proventi, la Corte d’appello ha correttamente confermato la responsabilità penale dell’imputato il quale, a prescindere dalla natura del reddito diverso, avrebbe dovuto inserire nella sua dichiarazione fiscale anche la somma in contestazione.
Si trattava, del resto, del provento di un reato di truffa commesso dall’imputato ai danni di [omissis] e non – come asserito dalla difesa – di un prestito lecitamente conseguito e non restituito”.
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