Reato di omessa dichiarazione: la Cassazione precisa il criterio da seguire nella determinazione dell’imposta evasa

Segnalo la sentenza numero 34401.2022, depositata il 19.09.2022, resa dalla terza sezione penale della Suprema Corte che, nel decidere il caso di specie, si è pronunciata sul tema giuridico della legittimità o meno del criterio seguito dal giudice del merito per la quantificazione dell’imposta evasa.

Il punto di diritto scrutinato in sede di legittimità è centrale nella difesa tecnica da svolgere nell’ipotesi di contestazione del reato di omessa dichiarazione in quanto, come noto, per potersi configurare il reato previsto e punito dall’art.5 d.lgs n.74/2000, il PM deve dimostrare in sede processuale il superamento della soglia di punibilità, attualmente fissata in euro 50.000,00 di imposte evase sui redditi o sul valore aggiunto.

 

L’ipotesi di reato ed il doppio grado di merito.

Secondo quanto accertato da Tribunale di Milano l’imputato è stato giudicato responsabile per il reato di cui all’art. 5 del decreto legislativo 74 del 2000 perché, nella qualità di legale rappresentante di una società di capitali, al fine di evadere le imposte sui redditi, aveva omesso di presentare la relativa dichiarazione annuale per l’anno di imposta 2012 avendo prodotto reddito per euro 1.237.023,72 e sostenuto costi per euro 219.719,61.

L’imposta evasa ammontava ad euro 279.768,63, superiore alla soglia di punibilità.

La sentenza di condanna veniva confermata in grado di appello in relazione al capo con il quale era stato ritenuta provata la penale responsabilità per il reato tributario.

 

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale di Milano interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi con in quali, per quanto di interesse per il presente commento, veniva denunciato vizio di legge e di motivazione in ordine al criterio induttivo – fondato su mere presunzioni – con il quale, concordemente, i giudici di merito avevano ritenuto raggiunta la prova del superamento della soglia di punibilità.

La Corte regolatrice ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dalla trama argomentativa della sentenza esaminata:

“L’individuazione del quantum dell’imposta evasa è profilo che si colloca sul terreno del merito, onde le relative determinazioni sono insindacabili in sede di legittimità, ove sorrette da motivazione congrua ed esente da vizi logico-giuridici, che dia conto delle regole inferenziali dalle quali, sulla base dei dati di fatto rilevati, è stato desunto il quantum del reddito.

Nel caso di specie il giudice a quo ha posto in luce che il quantum dell’imposta evasa è stato ricostruito dalla Guardia di Finanza attingendo innanzitutto alla documentazione fornita dall’imputato ed in particolare alle fatture emesse dall’impresa dallo stesso amministrata.

Il giudice di merito ha poi considerato idoneo allo scrutinio richiesto l’esame dei movimenti annotati sul registro Iva e altresì la verifica delle interrogazioni alle banche dati in uso alla polizia tributaria. Questi accertamenti, uniti a quelli condotti nei confronti dei soggetti economici verso i quali l’impresa amministrata dall’imputato ha emesso fatture, hanno consentito l’operazione aritmetica di individuare l’imposta evasa.

Attingendo a dati documentali provenienti dallo stesso imputato, i giudici hanno accertato l’entità dell’imposta evasa in termini di valori reali, non già mediante presunzioni.

Ne deriva l’estraneità di tale metodica ad ogni profilo di induttività, essendosi il procedimento di determinazione dell’imposta evasa basato in larga misura su risultanze documentali, muovendo dalle quali il giudice, mediante l’applicazione di corrette regole inferenziali e attraverso un corretto percorso concettuale, è approdato a conclusioni del tutto immuni da vizi”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA