La Cassazione chiarisce quando l’espressione offensiva inserita nella comunicazione a distanza tra più persone costituisce reato.

Segnalo la sentenza numero 36193/2022 – depositata il 26/09/2022, resa dalla sezione quinta penale della Corte di Cassazione, che ha precisato, con estrema chiarezza, il perimetro dell’accertamento demandato al Giudice del merito chiamato a decidere sulla sussistenza o meno del reato di diffamazione, quando l’espressione offensiva è inserita in un contesto di comunicazione a distanza tra più persone che può avvenire utilizzando le varie piattaforme dei social network o di altri sistemi che consentono la comunicazione a distanza.

La Suprema Corte, nel dirimere il caso di specie, ha fatto applicazione dei principi sedimentati nella elaborazione tradizionale  della giurisprudenza di legittimità sul discrimine tra diffamazione ed ingiuria (oramai derubricata ad illecito civile) ricorrendo la prima – quale fattispecie di reato – quando la comunicazione con più persone avviene senza la simultanea presenza del destinatario dell’offesa, annullando con rinvio la sentenza impugnata che non aveva accertato questo fatto decisivo per giungere corretta decisione.

Ciò che cambia, secondo il Collegio del diritto,  sono le modalità di comunicazione rispetto a quelle tradizionali che generalmente avvenivano alla presenza fisica di più interlocutori; quindi, chiarito il tema giuridico della questione, il problema che si deve porre il Giudice del merito nel decidere la regiudicanda è quello di analizzare le caratteristiche specifiche del programma e delle funzioni utilizzate nel caso concreto oggetto di imputazione per comprendere se la comunicazione è da considerare se  il fatto contestato assuma disvalore penale.

 

Il caso di specie, il reato contestato ed il doppio grado di merito.

La Corte di Appello di Perugia confermava la sentenza di primo grado con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno, per il reato di diffamazione commesso nei confronti di una persona che aveva partecipato ad una discussione a distanza utilizzando la piattaforma messa a disposizione da Facebook.

Dalla lettura della sentenza in commento si ricava che la persona offesa dal reato era presente, sia pure virtualmente, alle offese proferite dall’imputato nei suoi confronti avendo partecipato attivamente alla discussione avvenuta sul social network.

La linea difensiva tenuta dal legale dell’imputato nei due gradi di merito mirava a far ritenere all’Autorità giudiziaria procedente che il fatto in contestazione non poteva essere considerato reato in quanto la presenza della parte lesa deponeva per la diversa fattispecie dell’ingiuria aggravata come noto depenalizzata nel 2016.

Il ricorso in cassazione, il giudizio di legittimità e il principio di diritto.

La difesa dei prevenuto interponeva ricorso per cassazione avverso la pronuncia delle Corte territoriale, articolando plurimi motivi di impugnazione con i quali denunciava:

  • vizio di legge circa la ritenuta sussistenza del reato di diffamazione non configurabile per la presenza dell’offeso;
  • vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della scriminante della provocazione ex art. 599, II comma c.p. che ricorre quando si agisce in stato di ira determinato dal fatto ingiusto altrui.

Il Collegio di legittimità, ritenuto fondato il ricorso per entrambi i profili di censura mossi alla sentenza impugnata, ha annullato con rinvio per nuovo giudizio.

Di seguito si riportano i passaggi estratti dalla trama argomentativa di interesse per la presente nota :

“Il tema è stato oggetto di una recente pronunzia di questa stessa Sezione, che ha ritenuto l’invio di una “e-mail”, dal contenuto offensivo, ad una pluralità di destinatari integrare il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra questi vi sia l’offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione. (Sez. 5 ,Sentenza n. 13252 del 04/03/2021 Ud. (dep. 08/04/2021 ) Rv. 280814.

L’esame della sentenza è utile alla risoluzione del caso in esame.

Nella motivazione, infatti, si è proceduto alla lettura comparativa delle norme ex art 594 cp -depenalizzata – e 595 cp, puntualizzandosi che l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone; l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario; se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione; l’offesa riguardante una assente e comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

Il criterio discretivo tra il fatto illecito di ingiuria e la diffamazione sanzionata penalmente ex art 595 cp è stato individuato nella presenza o meno dell’offeso tra i destinatari delle comunicazioni offensive.

Si è, infatti, chiarito che è la nozione di «presenza» dell’offeso ad assurgere a criterio distintivo, implicando questa necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e terzi, ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile, realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici.

Nell’interpretazione adeguatrice della norma ex art 595 cp ai mezzi di comunicazione telematici ed informatici si è chiarito che i numerosi applicativi attualmente in uso per la comunicazione tra persone fisicamente distanti non modificano, nella sostanza, la linea di discrimine tra le due figure come sopra tracciata, dovendo porsi solo una particolare attenzione alle caratteristiche specifiche del programma e alle funzioni utilizzate nel caso concreto, restando fermo il criterio discretivo della “presenza”, anche se “virtuale”, dell’offeso tra i soggetti destinatari; occorre, dunque, ricostruire sempre l’accaduto, caso per caso.

Così se l’offesa è profferita nel corso di una riunione “a distanza”, o “da remoto”, tra più persone contestualmente collegate, tra le quali anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone, fatto depenalizzato.

In tal senso Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742, che ha qualificato come ingiuria l’offesa pronunciata nel corso di un incontro tra più persone, compreso l’offeso, presenti contestualmente, anche se virtualmente, sulla piattaforma Google Hangouts.

Di contro, quando vengano in rilievo comunicazioni scritte o vocali, indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti”, secondo l’accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto, ricorreranno i presupposti della diffamazione.

Applicando tali condivisibili principi al caso in esame deve rilevarsi che la giustificazione resa dai Giudici territoriali, nel limitarsi a sottolineare come le espressioni ritenute offensive fossero state pubblicate su Facebook e, pertanto, integrassero la diffamazione, non ha chiarito se queste fossero state recepite contestualmente o meno da [omissis] e dagli altri partecipi alla chat, precisando solo che, in sostanza, lo stesso uso del canale sociale Facebook fosse per sé significativo della comunicazione delle parole denigratorie a una pluralità di destinatari e, ritenendo, pertanto, per questo solo motivo, integrato il delitto di diffamazione.

La motivazione resa sul punto dalla Corte d’appello non ha risolto la questione sollevata dalla difesa, la quale – anche nel presente atto di ricorso – ha sostenuto con deduzione specifica, che la persona offesa fosse contestualmente presente, insieme agli altri partecipi alla chat, al momento delle esternazioni offensive nei suoi confronti ed in condizione di replicare, rappresentando , pertanto, la tesi della ravvisabilità dell’illecito di ingiuria.

La sentenza impugnata ha mancato di svolgere adeguato accertamento sul punto dirimente oggetto di censura e della decisione e, pertanto, deve essere annullata con rinvio, affinché il Giudice di appello esamini nuovamente il punto alla luce dei principi innanzi enunciati.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA