Utilizzabili nel processo di bancarotta fraudolenta contro l’imputato le dichiarazioni rese dal prestanome subentrato nella carica e riprodotte nella relazione ex art.33 L.F.

Segnalo la sentenza numero 37471.2022 – depositata il 04/10/2022, resa dalla sezione quinta penale della Suprema Corte, che si è pronunciata sulla possibilità di utilizzare o meno le dichiarazioni accusatorie del prestanome subentrato all’imputato nella carica gestoria rese al Curatore fallimentare e riprodotte nella relazione da quest’ultimo redatta ex art. 33 L.F..

La Suprema Corte, nel decidere il caso di specie, ha ritenuto legittima l’utilizzabilità delle dichiarazioni del nuovo amministratore, imputato di reato connesso o collegato, non ostandovi alcun divieto prescritto dal codice di rito.

 

Il capo di imputazione ed il doppio giudizio di merito.

La Corte d’appello di Napoli confermava la decisione resa in primo grado (riformata per la sola durata delle pene accessorie), che aveva ritenuto l’imputato responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Dala lettura della sentenza in commento si ricava che il ricorrente era stato l’effettivo amministratore della società fallita dal 2007 al 2012, anno in cui cedeva l’intero pacchetto azionario ad altro soggetto e cessava dalle funzioni gestorie e la società sostanzialmente cessava le sue attività.

I giudici di merito hanno quindi ritenuto secondo le prove acquisite nel corso del processo che l’amministratore subentrante che il fosse un mero prestanome e che la cessione fosse stata simulata al solo scopo di porre in essere la successiva condotta distrattiva, inibendo la ricostruzione degli affari, fatto questo rilevante per la bancarotta fraudolenta documentale.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Corte regolatrice ha rigettato il ricorso anche in riferimento alla censura con la quale si denunciava vizio di legge della sentenza impugnata in riferimento alla utilizzabilità del contenuto della relazione redatta dal Curatore fallimentare acquisita al fascicolo per il dibattimento.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

Le dichiarazioni (del successivo amministratore) assunte dal curatore e trasfuse nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 I.f., se rese da un indagato o da un imputato di reato connesso o collegato nel medesimo procedimento o in separato procedimento, sono utilizzabili nel procedimento a carico (Sez. 5, n. 24781 del 08/03/2017, dep. 2017, Rv. 270599), stante l’inapplicabilità dell’art. 63, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018 Rv. 272664), ma devono essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità, ai sensi dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 20090 del 17/04/2015, Rv. 263819).

Né la possibilità di utilizzare le dichiarazioni rese dal fallito al curatore ed inserite nella relazione ex art. 33 I.f. è preclusa dal principio espresso dalla Corte EDU (sentenze 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito e 27 aprile 2004, Kansal c. Regno Unito), non applicabile al diritto nazionale per la diversità dei poteri riconosciuti al curatore dalla legge fallimentare italiana (Sez. 5, n. 38431 del 17/05/2019, Rv. 277342).

Ciò considerato, in concreto, le dichiarazioni rese dal [omissis] al curatore (relative a dati oggettivi, quali il prezzo di acquisto delle quote e la consistenza di magazzino) non hanno fondato, di per sé, la responsabilità del ricorrente, ma sono state utilizzate solo perché rappresentative di un oggettivo disinteresse del [OMISSIS] verso la società e la sua gestione.

Non si tratta, quindi, di dichiarazioni auto ed etero accusatorie, e quindi non possono ritenersi soggette alle prescrizioni contenute nel terzo comma dell’art. 192 del codice di rito.

In ogni caso, anche a voler ritenere la norma applicabile, esse sono state comunque inserite all’interno di un complessivo impianto argomentativo e valutate unitamente agli altri elementi già in precedenza indicati (l’azzeramento ingiustificato delle poste attive; la mancata dimostrazione della loro destinazione; la parzialità e lacunosità della documentazione contabile riferita al periodo di gestione), per dedurre la natura simulata della cessione”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA