La tesi del furto di identità per difendersi dall’accusa di diffamazione a mezzo Facebook presuppone la prova della denuncia dell’illecito subito.

Segnalo la sentenza numero 40309.2022 – depositata il 25.10.2022, resa dalla sezione quinta penale della Suprema Corte, che si è pronunciata sulla possibilità di sostenere utilmente in giudizio la tesi del furto di identità per disconoscere la paternità di un post offensivo pubblicato su Facebook.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, dando continuità ad un orientamento oramai consolidato, ha ritenuto che la circostanza valorizzata dai giudici di merito della mancata denuncia del furto di identità da parte dell’imputato – che sostanzialmente lamentava un accesso abusivo al proprio sistema informatico, secondo massime di esperienza, deponeva per l’infondatezza della tesi difensiva.  

Da qui la conferma della condanna per diffamazione aggravata.

 

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito  

La Corte d’appello di Caltanissetta confermava la decisione del Tribunale di Gela con la quale è stata affermata la responsabilità dell’imputato per il delitto di diffamazione in danno della persona offesa accusata dall’imputato di avergli danneggiato la moto, apostrofandola come “schizofrenica certificata”.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato, denunciando vizio di legge di motivazione della sentenza impugnata, per avere attribuito il fatto di reato al giudicabile, senza verificare l’indirizzo IP da cui sarebbe partito il post diffamatorio che, conseguentemente, poteva essere stato inviato da altro soggetto diverso dal prevenuto.

La Corte regolatrice ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“La Corte di appello non è caduta in alcun vizio logico nel dare rilevanza, anche, alla circostanza che l’imputato non aveva denunciato l’abusivo utilizzo del proprio profilo.

Tale argomentazione appare corretta, rispondendo a criteri logici e a condivise massime di esperienza trarre elementi di rilievo – in ordine alla provenienza di un post da un determinato utente – dall’omessa denuncia dell’uso illecito del proprio profilo, eventualmente compiuto da parte di terzi.

E, infatti, questa Corte ha già ritenuto che l’omessa denuncia del c.d. “furto di identità”, da parte dell’intestatario della bacheca sulla quale vi è stata la pubblicazione di post “incriminati”, possa costituire valido elemento indiziario (Sez. 5, n. 4239 del 21/10/2021, dep. 2022, Ciocca, n.m.; Sez. 5, n. Sez. 5, n. 45339 del 13/07/2018, Petrangelo, n. m.; Sez. 5, n. 8328 del 13/07/2015, dep. 2016, Martinez, n.nn.)

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA