Prima applicazione da parte della Cassazione della declaratoria di illegittimità costituzionale per il reato di omesso versamento delle ricevute certificate.

Segnalo la sentenza numero 43238.2022 – depositata il 15/11/2022, resa dalla sezione terza penale della Corte di Cassazione che ha fatto applicazione della nuova formulazione dell’art.10 bis d.lgs. n.74/2000, conseguente alla parziale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma predetta intervenuta con la pronuncia n.175 del 2022 della Corte costituzionale, che ha sterilizzato la riforma introdotta dal d.lgs. 158/2015, nella parte in cui facoltizzava il giudice a ritenere provato il reato tributario sulla base della dichiarazione contenuta con il modello 770, oltre ad innalzare la soglia di punibilità.

Nel caso di specie, la Suprema Corte, sulla base della superiore decisione della Consulta, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata rimettendo la decisione alla Corte di appello, quale giudice del merito, affinché valuti se nel caso di specie, l’accertamento della penale responsabilità in ordine alla consumazione del reato previsto e punito dall’art. 10 bis d.lgs. n.74/2000 era stato fondato sul verificato rilascio delle relative certificazioni, oppure, se la prova del delitto era stata ricavata dal modello 770, nel qual caso l’illecito penale per il quale l’imputato era stato condannato nei due gradi di merito dovrà essere derubricato in illecito amministrativo tributario.

Il capo di imputazione ed il doppio grado di merito.

Il Tribunale di Milano condannava l’imputato tratto a giudizio quale legale rappresentante di una società di capitali, alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 10 bis del d.lgs. n.74 del 2000 a lui contestato, per non avere versato le ritenute dovute in base alla sua dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per l’ammontare di euro 587.825,95 per l’anno di imposta 2015.

La Corte di appello di Milano confermava la sentenza in punto di penale responsabilità, riducendo la pena inflitta.

Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.

Contro la sentenza resa dalla Corte distrettuale proponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato articolando plurimi motivi di impugnazione.

La Corte regolatrice ha accolto il ricorso annullando con rinvio la sentenza impugnata ritenendo assorbente il profilo della nuova delibazione sulla base della dichiarata, parziale, illegittimità della norma incriminatrice.

Di seguito si riportano i passaggi tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di interesse per la presente nota:

“Tanto premesso, deve evidenziarsi che, con la richiamata pronuncia n. 175 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sia dell’art. 7, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 158 del 2015 (“Revisione del sistema sanzionatorio in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014 n. 23”), nella parte in cui ha inserito le parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione o” nel testo dell’art. 10 bis del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74, sia dello stesso art. 10 bis del d. Igs. n. 74 del 2000, limitatamente alle parole “dovute sulla base della stessa dichiarazione”

Le conclusioni alle quali è pervenuta la Consulta si sono basate sull’accoglimento dei profili di censura della norma messi in evidenza nell’ordinanza di rimessione sollevata dal Tribunale di Monza, con particolare riguardo alla violazione dell’art. 25 comma 2 della Costituzione, sotto il profilo dell’eccesso di delega.

A tal proposito, infatti, l’art. 8 della legge delega n. 23 del 2014, rubricato “Revisione del sistema sanzionatorio”, aveva delegato il Governo a “procedere alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo altresì la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative”.

Il legislatore delegato tuttavia, esorbitando dal perimetro indicato dalla legge delega, come ha osservato il giudice rimettente, le cui obiezioni sono state recepite dalla Corte Costituzionale, se da un lato ha ridotto l’ambito applicativo della norma innalzando la soglia di punibilità delle condotte penalmente rilevanti, dall’altro lato, ha introdotto una nuova fattispecie penale costituita dall’omesso versamento delle ritenute dovute sulla scorta della dichiarazione presentata e a prescindere dal rilascio delle certificazioni ai sostituiti.

Nel premettere che la delega consentiva sì la configurazione di fattispecie penali, ma con riferimento a condotte tipiche di particolare gravità, la Consulta ha ribadito che la condotta di chi non versa le ritenute indicate nella relativa dichiarazione come sostituto d’imposta, al momento della delega, non costituiva reato, ma illecito amministrativo tributario, mentre solo in passato, ovvero fino alla riforma del 2000, è stata punita come reato contravvenzionale, dovendosi in tal senso escludere che si sia in presenza di «comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa», come indicato nella legge delega (art. 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014).

Scostandosi da tale linea direttiva, il legislatore delegato ha invece introdotto nell’art. 10 bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza essere in ciò autorizzato a farlo dalla legge di delega, mentre sarebbe stato necessario un criterio preciso e definito per poter essere rispettoso anche del principio di stretta legalità in materia penale.

Di qui la declaratoria di incostituzionalità nei termini descritti, che ha sostanzialmente “sterilizzato” la modifica della norma incriminatrice introdotta con il d. Igs. n. 158 del 2015 che, oltre a innalzare la soglia di punibilità da euro 50.000 a euro 150.000, aveva previsto la possibilità di ricavare la prova dell’avvenuta consumazione del reato anche sulla base di quanto risultasse dalla mera dichiarazione del sostituto d’imposta (c.d. modello 770), per cui ora l’integrazione della fattispecie penale ex art. 10 bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate, mentre il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma di cui non c’è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario.

Tornano quindi attuali, non più solo per i fatti pregressi al d. Igs. n. 158 del 2015, ma a questo punto anche per i fatti ad esso successivi, i criteri interpretativi elaborati dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 24782 del 2018, secondo cui, in tema di omesso versamento di ritenute certificate, ai fini della prova del rilascio al sostituito delle certificazioni attestanti le ritenute operate, non è sufficiente la sola acquisizione della dichiarazione modello 770, dovendosi cioè comprovare aliunde il rilascio delle predette certificazioni, nel solco delle indicazioni ermeneutiche fornite dalla pronuncia delle Sezioni Unite, oltre che dalla giurisprudenza ad essa successiva (cfr. Sez. 3, n. 13610 del 14/02/2019, Rv. 275901-02 e Sez. 3, n. 25987 del 13/07/2020, Rv. 279743).

Alla luce di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per nuovo giudizio, al fine di verificare l’eventuale configurabilità del reato contestato”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA