La Cassazione ritiene legittimo il sequestro impeditivo operato nei confronti di Poste Italiane s.p.a. per il “bonus facciate” relativo a crediti fondati su fatture per operazioni inesistenti.
Segnalo la sentenza numero 44647.2022 – depositata il 23.11.2022, resa dalla sezione seconda penale della Corte di Cassazione, che si è pronunciata, in sede cautelare reale, sulla legittimità del sequestro preventivo disposto sui crediti ceduti dagli autori della truffa aggravata in danno di Poste Italiane s.p.a. fondati su fatture per operazioni inesistenti.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, qualificando il sequestro come impeditivo, ha condiviso le argomentazioni del PM ricorrente che aveva sostenuto la necessità di mantenere il vincolo ablatorio anche in danno di Poste Italiane s.p.a. – persona offesa dal reato – per evitare che il reato di truffa perpetrato in danno del predetto istituto cessionario, potesse consentire l’ulteriore circolazione del credito fittizio nel circuito economico.
L’imputazione provvisoria ed il merito cautelare.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Treviso convalidava il sequestro operato di d’urgenza ed emetteva decreto di sequestro preventivo delle somme giacenti sui conti correnti postali intestati di due indagati per più reati di truffa aggravata, nonché dei loro “cassetti fiscali” dei crediti d’imposta ivi transitati, anche già ceduti a terzi, vantati dagli stessi soggetti sottoposti a indagini per i suddetti reati contro il patrimonio, consumati o tentati, in danno di Poste Italiane s.p.a..
Secondo quanto è dato ricavare dalla lettura della sentenza in commento le persone sottoposte ad indagine avevano aperto un conto corrente dei conti correnti postali intestati alle rispettive ditte individuali, attivando poi la procedura on line per la cessione di crediti d’imposta, secondo quanto previsto dalla normativa sul cosiddetto “bonus facciate”.
Poste Italiane s.p.a., nella qualità di persona offesa dal reato, proponeva richiesta di riesame contro il provvedimento cautelare chiedendo la restituzione delle somme in sequestro.
Il Tribunale di Treviso, accogliendo l’impugnazione, annullava il decreto del G.i.p. limitatamente al sequestro eseguito nei confronti della stessa società, ordinando, per l’effetto, che le fossero restituiti i crediti d’imposta originariamente vantati dagli indagati e poi ad essa ceduti (in via diretta o previa cessione ad altri soggetti terzi).
Il ricorso per cassazione ed il principio di diritto.
Contro l’ordinanza del Collegio cautelare del Tribunale Treviso interponeva ricorso per cassazione il PM presso il medesimo Tribunale chiedendone l’annullamento per vizio di legge.
La Corte di legittimità ha ritenuto fondato il ricorso, disponendo l’annullamento con rinvio della impugnata ordinanza.
Di seguito si riporta il passaggio dal costrutto argomentativo della sentenza in commento di maggiore interesse per la presente nota:
“I crediti ceduti, originati da emissioni di fatture per operazioni inesistenti, nella prospettiva del ricorrente costituiscono il profitto dei reati di truffa, considerato che in tale nozione vanno ricompresi non solo i beni che l’autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto mediato e indiretto della sua attività criminosa (Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, dep. 2008, Miragliotta, Rv. 238700; in senso conforme, di recente, Sez. 6, n. 25329 del 01/04/2021, Di Rubba, Rv. 281532).
In questa sede è sufficiente ricordare che il sequestro impeditivo richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res e il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa, non essendo invece sufficiente una relazione meramente occasionale tra la res e il reato commesso (cfr. Sez. 4, n. 29956 del 14/10/2020, Valentino, non mass. Sul punto; Sez. 6, n. 5845 del 20/01/2017, F., Rv. 269374; Sez. 2, n. 28306 del 16/04/2019, Lo Modou, Rv. 276660; Sez. 3, n. 31415 del 15/01/2016, Ganzer, Rv. 267513; Sez. 3, n. 9149 del 17/11/2015, dep. 2016 Plaka, Rv. 266454).
Inoltre, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sequestro preventivo di tipo impeditivo «implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del sequestro anche le cose in proprietà di terzo estraneo, se la loro libera disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato stesso» (così Sez. 3, n. 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691; in senso conforme cfr., ad es., Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741; Sez. 5, n. 11287 del 22/01/2010, Carlone, Rv. 246358; Sez. 3, n. 1806 del 04/11/2008, dep. 2009, Pepe, Rv. 242262; da ultimo v. Sez. 1, n. 31906 del 03/06/2022, Miraglia, non mass.).
Lo stato di buona fede del terzo estraneo al reato rileva soltanto ove il sequestro sia stato disposto esclusivamente in quanto funzionale alla confisca, ai sensi dell’art. 321, comma 2, del codice di rito.
La buona fede di Poste Italiane s.p.a., persona offesa dalle truffe e cessionaria dei crediti, non preclude, dunque, il sequestro preventivo, dovendosi altresì rilevare che detto stato sussisteva indubbiamente solo al momento dell’acquisto dei crediti, quando la società non era al corrente della inesistenza di un legittimo titolo originario”.
By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA