Mobbing sessuale per il titolare dell’esercizio commerciale che molesta le dipendenti coartandone la libertà di autodeterminazione.

Segnalo la sentenza numero 49464/2022 – depositata il 29.12.2022, con la quale la Corte di Cassazione – sezione terza penale, si è pronunciata su una imputazione di violenza sessuale contestata al titolare di un bar per le molestie subite dalle proprie dipendenti.

Nel caso di specie, la Corte di legittimità, ha ritenuto corretta la decisione cui erano pervenuti, concordemente, i giudici del merito, che avevano condannato l’imputato per il delitto di maltrattamenti (art. 572 cod. pen.) esternato sotto forma di mobbing sessuale nei confronti di tre ragazze che avevano lavorato nel bar e per il concorrente delitto previsto e punito dall’art. 609, ultimo comma, cod. pen. (fatto di violenza sessuale di minore gravità) a lui contestato per vari episodi consumati in danno di due dipendenti.

 

La decisione della Suprema Corte e il principio di diritto.

Contro la sentenza di appello interponeva ricorso per cassazione la difesa dell’imputato lamentando vizio di legge e di motivazione della sentenza impugnata.

La Corte di legittimità ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di maltrattamenti perché estinto nelle more del grado per intervenuta prescrizione, rigettando il ricorso nel resto.

Di seguito si riportano ampi passaggi tratti dalla parte motiva della sentenza annotata:

“….II terzo motivo con il quale si assume che la condotta di violenza sessuale non sarebbe andata al di là della fase del tentativo per avere i toccamenti posti in essere dall’imputato interessato zone non erogene del corpo di entrambe le vittime, è manifestamente infondato.

Occorre al riguardo premettere che essendo il discrimine fra l’ipotesi di violenza sessuale consumata e quella di violenza sessuale tentata costituito, secando la consolidata e più condivisibile opinione giurisprudenziale, dalla concreta intrusione dell’agente nella sfera di intimità della vittima, rimanendo il fatto solo allo stadio del tentativo ove la materialità degli atti, pur giudicati idonei sulla base della cd. prognosi postuma, ad inserirsi nella concatenazione causale indirizzata in maniera non equivoca alla commissione del delitto in esame, non abbiano assunto natura sessuale, e dalla nozione di atto sessuale che occorre muovere per poter addivenire alla suddetta distinzione.

Essendo il reato in esame posto a presidio della libertà personale dell’individuo che deve poter compiere o ricevere atti sessuali in assoluta autonomia e nella pienezza dei propri poteri di scelta, contra ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contra ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, e dalla stessa natura del bene giuridico protetto che deve ricavarsi la natura sessuale del gesto.

Il novero delle aree erogene, secondo la scienza medica e, come ribadito in numerose sentenze di questa Corte, non si limita alle zone genitali e ai capezzoli ma si estende sino a ricomprendere spalle, fianchi, glutei, guance, collo, ascelle ed altro.

 

In questi casi si impone, evidentemente, una più attenta opera di decodificazione per verificare la finalità sessuale della condotta dell’agente potendo in astratto gli atti posti in essere rappresentare espressione di una diversa finalità (come accade ad esempio per baci, le carezze o gli abbracci).

 

E poiché la dimensione della sessualità non può ritenersi confinata ad una estrinsecazione soltanto fisica, involgendo al contrario anche la dimensione psichica come quella emotiva, suscettibile di modularsi diversamente in relazione ai valori del comune sentire che mutano e al contempo si consolidano nello specifico contesto storico, culturale e sociale di riferimento, ne consegue che, come già affermato da questa Sezione, la valutazione dell’atto, al fine di apprezzarne l’incidenza sulla libertà di autodeterminazione della persona offesa, debba tener conto della condotta nel suo complesso, rapportandola cioè all’ambito specifico in cui si e svolta, alle modalità in cui si e in concreto estrinsecata estese anche a quelle che la hanno preceduta o seguita, al rapporto intercorrente tra i soggetti coinvolti e ad ogni altro dato fattuale che valga a connotarlo (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 43423 del 18/09/2019, Rv. 277179; Sez. 3, Sentenza n. 38926 del 12/04/2018, Rv. 273916).

Logico corollario di tali affermazioni diventa, pertanto, all’interno di quella valutazione globale richiesta all’interprete, il fatto che la zona corporea attinta dalla condotta non possa ritenersi, quando non sia quella degli organi genitali ma la bocca, il callo, i fianchi, il fondo schiena o altro, un criterio necessariamente discretivo della natura dell’atto, soccorrendo proprio nel sincretismo cui deve uniformarsi la sua decodificazione, l’insieme dei parametri sopra delineati.

La nozione di atto sessuale non può essere ristretta, dunque, al solo contatto con le zone genitali ma si estende al contatto con tutte le zone erogene. E il tentativo non può, quindi, essere confinato nei limiti indicati dal ricorrente.

 

Occorre sempre avere riguardo, invece, come detto, al contesto fattuale specifico.

 

Non può parlarsi, dunque, di tentativo allorquando, come nella specie, la condotta realizzata di toccamenti, baci sul colla, ecc. sulla vittima non consenziente, realizzata su zone erogene, persegua finalità di natura sessuale, in quanto, in questo caso, si e già verificata la lesione del bene giuridico protetto con la condotta posta in essere per la stimolazione della risposta sessuale.

 

Nella specie gli atti posti in essere dal [omissis] all’interno del particolare contesto lavorativo nel bar dove le due ragazze svolgevano attività di cameriere alle sue dipendenze durante l’orario di servizio, e, dunque, tale da non giustificare effusioni di natura amichevole o affettuosa come si sostiene nel ricorso, sono stati logicamente valutati come espressione di concupiscenza coinvolgente a tutto tondo la sessualità delle vittime.

I toccamenti nei confronti della [omissis]

la

 consistiti in strusciamenti contro il fondo schiena della ragazza, in baci sul collo ed abbracci repentini non lasciano spazio ad interpretazioni diverse dalla natura sessuale degli atti.

 

Anche per [omissis],i gesti dell’accarezzamento, sono anch’essi estrinsecazione di una pulsione libidinosa, in quanto volta a suscitare, per effetto dell’intenzionalità e al contempo dell’attenzione profusa nel gesto, l’eccitamento sessuale di chi lo riceve.

 

Ogni dubbio sulla connotazione sessuale della condotta, viene con valutazione di merito logica – e, dunque, insindacabile in questa sede – esclusa nella sentenza impugnata, che descrive minuziosamente il comportamento dell’imputato marcatamente allusivo, con frasi di apprezzamento sulle fattezze fisiche di costei e con esternazioni libidinose.

 

E tali condotte in quanto poste in essere dal datore di lavoro all’interno del locale sotto la più volte sottolineata minaccia del licenziamento, in un’atmosfera di pesante promiscuità dove persino i nomi dati ai cocktail associati agli ordini dei clienti metteva in imbarazzo le sue dipendenti, non possono, alla luce delle considerazioni in precedenza svolte, che essere ricondotte al paradigma dell’art. 609 bis cod. pen. nella forma consumata e non tentata”.

 

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA.