Il sindaco non evita la condanna per bancarotta semplicemente diffidando l’organo amministrativo ad integrare il capitale sociale.

Segnalo la sentenza numero 1162.2024 – depositata il 10/01/2024, resa dalla sezione quinta penale della Suprema Corte di cassazione, che si è pronunciata sul tema della responsabilità concorsuale (con gli amministratori) dei sindaci nel reato di bancarotta patrimoniale.

La sentenza annotata si pone in continuità con precedenti arresti giurisprudenziali che hanno ritenuto penalmente rilevante la condotta tenuta dai componenti dell’organo di controllo che, in caso di necessità, non attivano gli strumenti previsti dal Codice civile per la tutela del ceto creditorio. 

Nel caso di specie, per quanto qui di interesse, i giudici del doppio grado di merito, avevano, concordemente, affermato la penale responsabilità dei sindaci di una società di capitali per non avere adempiuto agli obblighi di legge, nonostante la situazione patrimoniale dell’Ente manifestasse inequivoci indici dello stato di insolvenza. 

La difesa dell’imputato interponeva ricorso per cassazione contro la sentenza resa in grado di appello sostenendo che i componenti del collegio sindacale avevano, reiteratamente, compulsato l’organo amministrativo affinché procedesse alla ricapitalizzazione della società ed alla convocazione dell’assemblea dei soci. 

La Corte di legittimità ha ritenuto destituita la tesi difensiva fissando i principi di diritto che seguono tratti dal costrutto argomentativo della sentenza in commento: 

“Per come si è detto, ai sindaci è contestato di aver concorso nella causazione del dissesto della [omissis] s.r.l. omettendo di esercitare i poteri di vigilanza e controllo loro riconosciuti in ragione delle funzioni svolte e, segnatamente, astenendosi gli amministratori dal richiedere il fallimento, di procedere alla convocazione dell’assemblea stante l’inerzia dell’organo gestorio.

Secondo la Corte territoriale, l’organo di controllo, pur riscontrando la sussistenza dei presupposti operativi indicati nell’art. 2447 cod. civ., si sarebbe limitato ad invitare gli amministratori ad eseguire l’aumento di capitale, senza rilevarne l’inadempimento e senza procedere alla diretta convocazione dell’assemblea e alla parallela segnalazione delle gravi irregolarità commesse dall’organo amministrativo. 

Omissioni che, permettendo la prosecuzione dell’attività economica pur in presenza di un patrimonio netto sensibilmente negativo, avrebbero contribuito ad aggravare il preesistente stato di dissesto.

Il presupposto giuridico dal quale muove la Corte territoriale è corretto. 

Il controllo sindacale, in quanto posto a tutela degli interessi dei soci e di quello (preminente) dei creditori e pur non potendo investire in forma diretta le scelte imprenditoriali, non si esaurisce in una mera verifica formale o in un riscontro contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori: deve necessariamente sostanziarsi nell’oggettivo riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione ed estendersi al contenuto della gestione sociale e alla conseguente verifica di conformità delle scelte degli amministratori ai canoni d’una buona amministrazione e della loro compatibilità con i fini propri della società (cfr. Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, Rv. 279599).

Cosicché, ove nell’esercizio dei suoi poteri di controllo e di vigilanza abbia conoscenza di condotte illecite degli amministratori, il sindaco ha il dovere di intervenire per impedirne la realizzazione. 

E la relativa omissione determina la sua responsabilità a titolo di concorso nel reato eventualmente commesso all’amministratore, ove l’esercizio dei poteri conoscitivi riconosciuti ai sindaci avrebbe condotto questi ultimi a conoscere delle irregolarità contabili e, conseguentemente, ad attivare le (doverose) procedure di segnalazione (esterna ed interna) e d’inibizione che il legislatore ha messo a disposizione.

In questo contesto si inseriscono gli specifici poteri-doveri d’iniziativa, riconosciuti ai sindaci in sostituzione dell’organo deliberativo (l’assemblea) o degli amministratori. Segnatamente: il dovere di convocare l’assemblea ed eseguire le pubblicazioni prescritte in caso di omissione da parte degli amministratori (art. 2406 cod. civ.); quello di chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale sociale obbligatoria per legge, ove l’assemblea non vi provveda e gli amministratori restino inerti (artt. 2357, 2359-ter e 2446 cod. civ.); quello di promuovere l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori (2393 cod. civ.) e di sollecitare il controllo giudiziario sulla gestione (2409 cod. civ.); norme applicabili anche alla società a responsabilità limitata in virtù dell’esplicito richiamo contenuto nell’art. 2477 del codice civile.

Ebbene, come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale, il collegio sindacale si è limitato, per ben tre anni (dal 2007 al 2010), pur a fronte di un conclamato stato d’insolvenza (cristallizzatosi sin dal 2007), a sollecitare l’organo amministrativo all’adempimento di quanto necessario in ragione della rilevata situazione finanziaria (le necessarie ricapitalizzazioni e la convocazione dell’assemblea). 

E ciò senza provvedere agli ulteriori e più rilevanti obblighi in precedenza indicati. Tanto, all’evidenza, non può intendersi come diligente adempimento degli obblighi imposti all’organo di controllo e, in sé, non esclude la sussistenza della condotta materiale (omissiva) oggetto dell’imputazione”.

By Claudio Ramelli© RIPRODUZIONE RISERVATA