Reati di bancarotta: per dimostrare la qualità di amministratore di fatto dell’imputato occorre la prova dell’effettivo esercizio dei poteri gestori attribuiti con la procura generale.

E’ il principio di diritto fissato dalla quinta sezione penale della Cassazione con  la sentenza numero 8922/2024 depositata il 29/02/20243, che si è pronunciata sul tema giuridico – spesso ricorrente nella difesa tecnica dei reati fallimentari e tributari –  degli indici probatori che devono ricorrere per ritenere raggiunta la prova in ordine alla qualità di  amministratore di fatto della società fallita assunta dall’imputato.

Nel caso di specie all’imputato erano stati contestati plurimi fatti di bancarotta fraudolenta nella qualità procuratore di un società; l’impianto accusatorio veniva validato  dai giudici del doppio grado di merito che affermavano, concordemente, la penale responsabilità del giudicabile per i reati a lui ascritto.

La difesa dell’imputato impugnava la sentenza resa dalla Corte territoriale, articolando plurimi motivi di ricorso per cassazione; con una censura veniva contestato il capo di sentenza che aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato nella veste di amministratore di fatto della società.

La Corte di legittimità, con la sentenza annotata, ha rigettato il relativo motivo di ricorso, dando continuità al principio di diritto secondo il quale per dimostrare la qualità di dominus occulto dell’impresa fallita occorre la prova dell’effettivo esercizio dei poteri procuratori da parte del mandatario, ritenuto ampiamente sussistente nel caso in disamina:  

Come è noto, «la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta  attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione» (Sez. 5,  n.  8479  del 28/11/2016,  dep.   2017,  Faruolo,  Rv.  269101;  conf.  Sez.   2,  n.  36556  del24/05/2022, Desiata, Rv. 283850; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021,Cimoli, Rv. 280550; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497; Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Pauselli, Rv. 279040).

Ed è pure vero che la prova della qualifica di amministratore di fatto «può trarsi anche dal conferimento di una procura generale “ad negotia”, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica della esistenza  del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale» (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 2015, Semeraro, Rv. 262630),  purché naturalmente  non  ci  si  limiti  a  considerare  il  contenuto  della  procura,  senza verificare che vi sia stato svolgimento effettivo dell’attività  che la procura autorizzava a compiere (cfr. Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, Capece, Rv. 282775).

Alla luce dei richiamati principi, sul punto la sentenza è esente da rilievi.

Per quanto attiene al vizio di violazione di legge, va ricordato che l’art. 2639 cod. civ. la cui errata interpretazione viene dedotta dal ricorrente, prevede la figura di colui che «esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione». 

La Corte di appello ha giustificato l’affermazione   circa   l’esercizio   continuativo   e   significativo   dei   poteri    tipici dell’amministratore,  da parte  del  ricorrente,   attraverso  il  riferimento  ad  una procura che è stata utilizzata per compiere operazioni per conto della società sin dal 1997 e fino al 2017; dal fatto che l’imputato nelle comunicazioni esterne sì firmava appunto quale “procuratore” e non quale “direttore del personale”, a dimostrazione di un rivendicato ruolo dì rappresentanza piena della società; dal fatto che dal 2004 in avanti, e dunque per un periodo molto significativo, tra i poteri attribuitigli non vi erano soltanto quelli, tipici di chi dirige il personale, dei quali parla il ricorso, bensì anche ì poteri relativi all’acquisto e vendita dì automezzi della società”.

By Claudio Ramelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.