Le forme di responsabilità del medico: la valutazione della condotta del professionista sanitario tra procedimento disciplinare e processo penale.

L’attività professionale del medico-chirurgo sempre più spesso diviene oggetto di accertamento da parte degli organi preposti alla verifica dell’esistenza di una qualche forma di responsabilità del professionista sanitario. Gli episodi di veri o presunti casi di malasanità o di cattive prassi sanitarie, di terapie o diagnosi errate, sono non infrequentemente causa dell’attivazione dell’Autorità giudiziaria, sia in sede civile, sia in sede penale, su iniziativa dei pazienti che lamentano di aver subito le conseguenze negative dell’operato o dell’inerzia del medico, al fine di escuterne la responsabilità ed ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Le fattispecie di responsabilità che interessano l’attività del medico sono estremamente diverse l’una dall’altra e la difesa tecnica da approntare caso per caso, deve essere correttamente modulata secondo i diversi paradigmi del diritto sostanziale di riferimento e del rito processuale di trattazione della singola fattispecie.

1. Le diverse tipologie di responsabilità che riguardano il medico.
La condotta del sanitario, che sia attiva od omissiva, può cagionare un evento lesivo in danno del paziente e dunque essere causa di illecito, che, in relazione alla natura dell’interesse tutelato, alla tipologia di sanzione irrogata ed all’Autorità competente al giudizio sul medesimo, può distinguersi come illecito civile, penale, illecito di natura disciplinare (amministrativo) e illecito fonte di responsabilità contabile. In estrema sintesi, senza alcuna pretesa di esaustività, si può ritenere che la condotta del sanitario può costituire fonte di ben quattro forme di responsabilità differenti:
a) responsabilità penale. Trova la propria fonte nelle norme penali, segnatamente nell’art. 589 c.p. (omicidio colposo) e 590 c.p. (lesioni colpose) le cui fattispecie sono sottoposte al principio di legalità e la relativa prerogativa punitiva è rimessa all’ufficio del PM territorialmente competente, mentre il procedimento si svolge dinanzi al Giudice penale con le garanzie di legge. La materia, come noto, è stata dapprima riformata dal Decreto Balduzzi (legge n.189 del 2012) ed in tempi più recenti dalla legge Gelli-Bianco (l. n. 24 del 2017) che ha introdotto l’art. 590 sexies c.p.. ed è oggetto di diversi ed in parte contrastanti arresti giurisprudenziali di legittimità in attesa della decisione delle Sezioni Unite Penali calendarizzata per il giorno 21 dicembre 2017 che potrà dirimere alcune questioni interpretative, soprattutto in tema di legge più favorevole da applicare alle singole fattispecie oggetto di giudizio in base al noto principio della successione delle leggi penali nel tempo;
b) responsabilità civile. Nel caso dell’esercente la professione sanitaria, coesiste una duplice forma di responsabilità civile: i) di natura contrattuale (art. 1218 c.c.); ii) di natura extracontrattuale (art. 2043 c.c.). Occorre, poi, rilevare che la prestazione professionale viene spesso fornita all’interno di una struttura sanitaria; in questa circostanza la responsabilità civile investirà anche la struttura stessa (responsabilità per fatto degli ausiliari ex art. 1228 c.c.) che sarà evocata in giudizio per rispondere dell’evento di danno cagionato dal medico;
c) responsabilità disciplinare. Nasce dalla violazione delle norme deontologiche dell’Ordine di appartenenza del professionista, ed è devoluta al giudizio dei relativi organismi e sono comminabili sanzioni specifiche previste dalle leggi regolatrici di tali ordini;
d) responsabilità contabile. Tale forma di responsabilità investe i soli medici operanti presso una struttura sanitaria pubblica, ai sensi dell’art. 28, primo comma, D.P.R. n. 761/1979, che applica ai dipendenti delle unità sanitarie locali la normativa per i dipendenti civili dello Stato, e dell’art. 82 R.D. 2240/192, che prevede che “l’impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo”.

La relativa giurisdizione appartiene alla Corte dei Conti.

2. La responsabilità disciplinare del medico e il relativo procedimento
La responsabilità disciplinare dell’esercente la professione sanitaria, della quale si tratta di rado ma che invece, a parere di chi scrive, ha un ruolo centrale nella vita del professionista sanitario, soprattutto per le interferenze con gli altri procedimenti che possono originare dal medesimo fatto, è, dunque, una forma di responsabilità che si aggiunge a quella civile e penale (ed eventualmente a quella contabile) e nasce dalla violazione delle norme deontologiche che governano la professione. Le relative sanzioni sono inflitte dall’Ordine professionale nel cui Albo è iscritto il professionista ed il procedimento è celebrato dinanzi a particolari organismi interni all’Ordine. Il procedimento disciplinare nei confronti dei professionisti sanitari è disciplinato dal D.P.R. n. 221/1950 e dal Regolamento per la esecuzione del D.Lgs. n. 233/1946 sulla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie, il quale ha codificato il potere disciplinare degli Ordini professionali sanitari.
Questi particolari enti giuridici hanno natura pubblicistica e si qualificano come soggetti appartenenti alla pubblica amministrazione (Consiglio di Stato sez. IV 16 marzo 2004 n. 1344) dotati di autonomia organizzativa e normativa. L’art.38 DPR n. 221/1950 prevede quali illeciti disciplinari abusi o mancanze dell’esercente la professione sanitaria o fatti disdicevoli al decoro professionale, non descrivendo in maniera specifica le azioni o le omissioni vietate (a differenza delle norme penali, soggette al principio di legalità). Il contenuto di tali norme è, dunque, integrato dai principi che informano la deontologia professionale. Il procedimento disciplinare può essere attivato d’ufficio da parte dell’Ordine di appartenenza oppure su iniziativa del Ministro della Salute o del Procuratore della Repubblica, oppure, come nella prassi si registra sempre con maggiore frequenza, dietro segnalazione di un privato che presenta un esposto lamentando un comportamento del sanitario che assume come inadeguato o incongruo rispetto ai principi deontologici che informano la professione del medico.

2.1 Le fasi del procedimento
Il procedimento disciplinare è sottoposto al regime normativo delle disposizioni degli artt. 38-52 D.P.R. n. 221/1950. Le fasi in cui questo si divide sono le seguenti: fase preliminare: l’art. 39 prescrive che il Presidente della Commissione del Consiglio dell’Ordine provinciale in cui il prevenuto è iscritto, avuta notizia della violazione astrattamente idonea a formare oggetto di procedimento disciplinare, svolge una istruttoria sommaria e convoca il sanitario interessato per una audizione preliminare. Esaurita l’istruzione preliminare, il Presidente riferisce al Consiglio, il quale deciderà se avviare un’ulteriore istruttoria, archiviare il procedimento oppure avviare il giudizio. Anche in questa fase puramente propedeutica all’evetuale giudizio è facoltà del prevenuto farsi assistere dal legale di fiducia (sebbene non sia ammessa la mera rappresentanza del legale che si presenta innanzi all’Ordine in nome e per conto del proprio assistito). Recentemente, l’Ordine Provinciale di Roma dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, in sede di prima audizione innanzi al Presidente dopo colloquio preliminare consegna al medico convocato un questionario contenente alcune domande cui l’interessato dovrà rispondere nel termine di 10 giorni. Questa prima fase di contraddittorio cartolare per esperienza dello scrivente assume fondamentale importanza in quanto una difesa esaustiva e convincente prodotta con memoria difensiva può determinare l’archiviazione del procedimento prima che venga elevata formale incolpazione con ogni conseguenza di legge.

fase istruttoria: nel caso che il Consiglio verifichi l’esistenza di un fumus di illecito disciplinare allora verrà avviata la fase “processuale” vera e propria. L’art. 39 prescrive che al sanitario-imputato vengano notificati:
a) la menzione circostanziata degli addebiti;
b) l’avvertimento che nel termine di 20 gg., prorogabile a richiesta, l’interessato può prendere visione degli atti e produrre le proprie controdeduzioni scritte;
c) l’indicazione del giorno, luogo ed ora del giudizio;
d) l’avvertimento che nel caso costui non si presentasse il giudizio proseguirà anche in sua assenza. Inoltre, entro il termine sub b) l’interessato può chiedere di essere sentito dal collegio giudicante. Una volta adempiuti gli obblighi di notifica, si procederà nella seduta fissata per il giudizio, alla istruttoria vera e propria. Anche nel procedimento disciplinare deve essere garantito il diritto alla difesa.
Il sanitario sottoposto al giudizio disciplinare ha, pertanto, facoltà di farsi assistere da un difensore e/o da un consulente tecnico di fiducia, sempre che venga avanzata istanza al riguardo, poiché la assenza del difensore, se non nominato dal sanitario, non comporterà la nullità del procedimento (Cass. civile sez. III 23 maggio 2006 n. 12121) a differenza del processo penale ove in assenza di difensore di fiducia all’indagato/imputato ne viene nominato uno di ufficio a pena di nullità dell’intero giudizio.
La trattazione della causa disciplinare è svolta in forma orale, come previsto dall’art. 45 (cfr. Cass. civile sez. III, 07 agosto 2001 n. 10895), il relatore espone i fatti addebitati e le circostanze emerse dall’istruttoria, quindi, se presente, viene udito l’imputato; fase decisoria: una volta esaurita l’istruttoria, la commissione giudicante, nella stessa composizione dei membri presenti nelle varie fasi del procedimento, adotta la propria decisione finale con provvedimento contenente data, i fatti addebitati, le prove assunte, l’indicazione dei motivi e il dispositivo a pena di nullità (art. 47).

2.2 Le impugnazioni.
Una volta concluso il procedimento seguirà un termine di 30 gg. in cui il sanitario interessato (qualora gli sia stata comminata una sanzione disciplinare), il Ministro della Salute o il Procuratore della Repubblica, possono proporre ricorso presso la Commissione Centrale esercenti Professioni Sanitarie (CCEPS) avverso il provvedimento emanato dalla Commissione disciplinare degli Ordini o della Federazione Nazionale (FNOMCEO). Non è legittimato invece a proporre impugnazione colui che ha presentato l’esposto o la denuncia da cui è scaturito il procedimento disciplinare, in quanto il privato, seppure è facoltizzato a presentare la notizia dell’illecito disciplinare mediante esposto, non è parte del procedimento stesso (Cass. 4 gennaio 2012, n. 79). Il ricorso produce l’effetto sospensivo della esecutività della decisione. Contro il provvedimento emesso dalla Commissione Centrale Esercenti Professioni Sanitarie che decide sul ricorso gli stessi soggetti legittimati a ricorrere alla CCEPS cui si aggiunge anche l’Ordine che ha emesso la decisione in primo grado di giudizio, possono proporre nel termine di 60 gg. ricorso per cassazione nelle forme previste dal codice di procedura civile

2.3 Le sanzioni disciplinari
Le sanzioni previste dall’art. 40 del D.P.R. n. 221/1950 sono:
– avvertimento, ossia la diffida a non ricadere nella mancanza commessa;
– censura, cioè una dichiarazione di biasimo per la mancanza in questione;
– sospensione dall’esercizio della professione da uno a sei mesi;
– radiazione dall’Albo, la quale viene somministrata all’iscritto che con la propria condotta abbia compromesso gravemente la sua reputazione e quella della classe sanitaria (art. 41); Gli articoli 42 e 43 indicano i casi in cui le sanzioni della sospensione e della radiazione sono erogate di diritto.

3. I rapporti tra procedimento disciplinare e penale.
3.1. L’istanza di sospensione.
Come già anticipato, il giudizio disciplinare in ambito sanitario, può concorrere con quello penale e procedere parallelamente allo stesso. Invero, l’art. 44 D.P.R. n. 221/1950 prescrive che in caso venga avviato procedimento penale nei confronti di un iscritto all’Albo, costui è sottoposto a procedimento disciplinare per il medesimo addebito, purché l’interessato non sia già stato prosciolto perché il fatto non sussiste o non l’ha commesso.
Sebbene non sia prevista una sospensione necessaria del procedimento disciplinare se concomitante con quello penale, è esperienza dello scrivente che qualora la contestazione elevata in sede disciplinare coincida con la condotta riprodotta nel capo di imputazione formulato dal PM in sede penale, la più completa e vantaggiosa ricostruzione del fatto addebitato in senso favorevole al proprio assistito può discendere più facilmente da una corretta impostazione difensiva in sede di giudizio penale che, indubbiamente, offre più ampi margini di difesa tecnica, soprattutto per i meccanismi di formazione della prova dibattimentale mediante l’esame dei propri consulenti tecnici ed il controesame di quelli indotti dalle altre parti o del perito di ufficio (nominato dal Tribunale). Conseguentemente appare più che opportuno formulare istanza di sospensione del procedimento al collegio giudicante in sede disciplinare in attesa di conoscere le statuizioni del Giudice penale sull’esistenza del fatto, la sua riconducibilità all’azione od omissione dell’imputato, l’esistenza del nesso di causalità tra condotta del medico ed evento di danno (lesioni o morte del paziente) ed infine alla esistenza di colpa professionale (elemento psicologico del reato).
L’opportunità della sospensione del procedimento disciplinare non persegue, quindi, finalità dilatorie, ma tende a far valere l’assoluzione ottenuta in sede penale nell’ambito del procedimento disciplinare per propiziare l’operatività di quanto prescritto dall’art. 653 c.p.p.: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o non costituisce illecito penale ovvero che l’imputato non lo ha commesso”.
Sui rapporti tra i due procedimenti ed a sostegno della suddetta strategia da seguire è intervenuta la Suprema Corte che pronunciandosi in materia (Cass. civile, SS.UU. 8 marzo 2006, n. 4893) ha statuito che se l’incolpazione disciplinare interessa gli stessi fatti contestati in sede penale il procedimento disciplinare deve essere sospeso in attesa dell’esito del giudizio penale.
Tutto ciò, chiaramente, presuppone che sia il difensore a versare nel fascicolo del procedimento disciplinare gli atti del giudizio penale (segnatamente la richiesta di rinvio a giudizio del PM) dimostrando l’identità del fatto incolpativo e la pregiudizialità della valutazione penale su quella disciplinare, da sospendere.

3.2 La prescrizione dell’azione disciplinare. Decorrenza ed interruzione. L’art. 51 del D.P.R. n. 221/1950 stabilisce che l’azione disciplinare si prescrive in cinque anni.
In riferimento ai tempi di prescrizione, la giurisprudenza della Commissione Centrale esercenti Professioni Sanitarie (n. 13 del 10 febbraio 2014) ha avuto modo di precisare che il termine prescrizionale previsto dall’art. 51 debba essere fatto decorrere non dalla data in cui i fatti oggetto del procedimento si sono verificati, bensì dalla data in cui l’Ordine ha avuto conoscenza degli stessi.
In tema, invece, di interruzione della prescrizione, la più recente giurisprudenza della CCEPS ha pienamente recepito un principio di diritto già enucleato dalle Sezioni Unite Civili della Cassazione, per cui l’avvio del procedimento penale produce l’automatico effetto della interruzione della prescrizione per tutta la durata del procedimento, fino al passaggio in giudicato della sentenza.
In tal senso è stato stabilito:
“Conformemente al consolidato orientamento della Suprema Corte di Cassazione, che attribuisce valore interruttivo della prescrizione quinquennale al fatto che sia “iniziato, a carico dell’incolpato un procedimento penale, e tale effetto interruttivo permane per tutto il tempo in cui il procedimento penale abbia corso” (Cass. civ. Sez. III, 2 marzo 2006, n. 4658), il predetto effetto interruttivo non è neppure subordinato all’apertura e contestuale sospensione del procedimento disciplinare da parte dell’Ordine o Collegio, bensì al solo verificarsi del primo degli eventi (nn. 24 e 25 del 2 febbraio 2015).”
E ancora, poi:
“Alla luce della uniforme giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione (sent. 2 marzo 2006, n. 4658), nonché in base al costante orientamento della Commissione Centrale, il termine di prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare viene interrotto, ove sia iniziato un procedimento penale, per tutto il tempo in cui quest’ultimo ha corso e ricomincia a decorrere dalla formazione del giudicato. Pertanto, il termine a quo da cui far decorrere la prescrizione dell’azione disciplinare è quello del passaggio in giudicato della sentenza penale e non quello della commissione del fatto (nn. 37 e 38 dell’11 maggio 2015).”

I Consigli del legale.

Alla luce della breve trattazione svolta in tema di responsabilità disciplinare del medico, erroneamente considerata di rango inferiore rispetto a quella civile o penale, nell’ipotesi di attivazione del procedimento a carico del medico, lo scrivente consiglia al professionista sanitario di elaborare insieme al legale di sua fiducia una strategia difensiva globale che, seppure attenta alla valutazione dei principi informatori delle singole branche del diritto interessate e dei diversi riti che ne regolamentano l’applicazione (soprattutto riguardo alle modalità di allegazione dei fatti e di acquisizione della prova), possa ottimizzare ogni risorsa difensiva (ad esempio lo stesso consulente di parte potrà intervenire nei diversi procedimenti) per far rifluire le acquisizioni probatorie favorevoli al medico formate in sede penale o civile nel giudizio disciplinare, opponendosi, al contempo, per quanto possibile, al trasferimento nel procedimento disciplinare di prove acquisite in altra sede processuale senza il contraddittorio con la difesa (ad esempio consulenza tecnica del PM disposta nella fase delle indagini preliminari ovvero una consulenza di parte in sede civile).